Secondo le stime statistiche messe a disposizione della Fao, in Italia si consumano circa 20 Kg di pesce pro capite all’anno (superiore alla media globale) contro i 17 Kg consumati in media a livello mondiale. Fatti allarmanti degni di suscitare la nostra attenzione sono le pratiche, seppure lecite, messe in atto e disconosciute dal consumatore: polpi, totani e calamari che vengono sbiancati con l’acqua ossigenata per renderli più belli a chi li acquista sui banchi frigoriferi, crostacei con solfiti, citrati per preservare la freschezza del pesce; casi come questi sono costantemente all’ordine del giorno e ci dovrebbero allarmare e porre sull’attenti.
Pratiche commerciali disconosciute nel mercato ittico: frode alimentare o no?
Sui banchi dei mercati ittici troviamo polpi, calamari, totani e seppie che presentano un biancore lucente cagionato dall’impiego dell’acqua ossigenata ma ciò avviene, nostro malgrado, di fronte al consenso della normativa emanata dal Ministero della Salute che ha concesso l’utilizzo di “soluzioni acquose contenenti il perossido di idrogeno” e di altre sostanze per rendere sempre più pallidi i molluschi cefalopodi. Per fortuna non ci sono problemi per la salute ma è giusto che i consumatori siano informati sulle pratiche messe in atto prima che il pesce raggiunga le nostre tavole. Dato che l’utilizzo di questi “coadiuvanti tecnologici” come ausilio durante la fase di lavorazione e non come ingredienti è prassi ricorrente però può non essere dichiarato in etichetta. Ciò cagiona enormemente un problema di trasparenza tant’è vero che un gruppo di produttori, distributori, enti ed associazioni di categoria ha fatto una petizione per istituire la cogenza nell’indicare l’eventuale trattamento effettuato sul prodotto ittico in etichetta: ciò consentirebbe di specificare in modo palese se il prodotto è naturale o trattato. La raccolta di firme destinata a sensibilizzare il Ministero della Salute e quello delle Politiche agricole avviene sul sito www.change.org.
I solfiti come conservante nei gamberi e nei crostacei in generale: altro allert ed altra pratica commerciale utilizzata per migliorare l’aspetto estetico del pesce, per conservarlo più a lungo dato che la normativa europea sostiene che i crostacei trattati con i solfiti inibisce la formazione dell’antiestetica macchia nera sulla testa che ne abbatte il valore commerciale. La cosa più confortante per i consumatori è quello che possono leggere in confezione se vi sia la presenza o meno di questi additivi dato che il loro consumo può cagionare problemi non indifferenti per i soggetti intolleranti: tosse, orticaria, difficoltà respiratorie, asma.
Altri additivi “legalizzati” sono i polifosfati ammessi nel pesce congelato per preservarli dai danni permanenti del freddo: nelle quantità sancite dalle norme non c’è alcun pericolo per la nostra salute ma ciò solleva un problema di frode commerciale dato che l’utilizzo di polifosfati facilita l’assorbimento di acqua nel pesce e si rischia di pagare non i Kg di pesce acquistato ma i litri di acqua che penetra nella carne del prodotto ittico.
Per conservare il pesce fresco la prassi commerciale ricorre all’utilizzo dei citrati ed acido citrico (sigle E330. E331) al fine di inibire l’ossidazione oltre ad evitare l’alterazione cromatica in quantità non prescritte dalla legge ma è necessario comunque citare la loro presenza in etichetta.
Poniamo l’attenzione anche al tonno che reperiamo sui banchi frigo di colore rosso rubino conferitogli dalla presenza di monossido di carbonio o da altri additivi, ciò per fare sì che venga commercializzato come fresco invece che decongelato. In effetti lo spacciare il prodotto ittico fresco invece che decongelato è una prassi assai diffusa, si potrebbe dire che è una vera e propria frode alimentare anche se la normativa sottolinea il fatto di dichiarare in modo veritiero se il prodotto ittico è fresco o decongelato. Come prevenire questo comportamento opportunistico ed evitare di essere truffati? Beh, il galateo della furbizia prevede di osservare attentamente il pesce, le pinne, il filetto, le squame, l’occhio, le chele e la corazza (per i crostacei) perché quando sottoposti al processo di congelamento le caratteristiche organolettiche e visive si alterano inevitabilmente. Prediligete sempre i pesci che riportano in etichettatura tutte le informazioni cogenti: denominazione, origine, categoria dell’attrezzo di pesca, metodo di produzione, eventuali ingredienti.
Non resta che dire occhio al pesce!