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Come praticare il digiuno terapeutico

Il digiuno terapeutico è una delle tante soluzioni alternative alla medicina tradizionale, ma la sua efficacia è, comprensibilmente, oggetto di discussione e di grande diffidenza. È efficace? Quali sono i suoi effetti sull’organismo? Prima di rispondere a queste domande, chiariamo subito che qualsiasi dietologo o medico esperto sarà quasi sicuramente contrario a buona parte delle pratiche terapeutiche che prevedano periodi di digiuno, in quanto queste contraddicono alcuni principi fondamentali della buona alimentazione: non saltare alcun pasto, e garantire al corpo, giornalmente, le sostanze nutritive necessarie alla sua sopravvivenza. È vero che nell’antichità esistevano forme diffuse e condivise di digiuno come forma di purificazione, e che alcune religioni attuali prevedono particolari periodi dell’anno in cui praticare il digiuno; un tipico esempio è il Ramadan per i musulmani, ma ciò riguarda più che altro una purificazione dello spirito e inciderebbe positivamente sul corpo in modi poco verificabili. Pratiche spirituali antiche, dunque, non ci permettono di dimostrare l’effettiva efficacia del digiuno, e non pensiamo si debba tener conto di questi elementi nell’analisi dell’argomento in questione. Illustreremo, dunque, in quest’articolo i pro e i contro del digiuno terapeutico in base alle moderne ricerche in materia.

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Obiettivi del digiuno terapeutico

Bisogna, innanzitutto, distinguere tra due forme principali di digiuno:

  1. Digiuno totale. La forma più classica, non prevede l’assunzione di nessun alimento, e nemmeno di liquidi. È un tipo di restrizione molto drastica, e non trova impieghi in ambito medico, se non in casi particolari, come per esempio il digiuno in vista di un’operazione, ma di solito non dura per molto (mezza giornata) e viene suggerito una tantum.
  2. Digiuno parziale. Riguarda principalmente due tipi di digiuno: quello che prevede solo l’assunzione di frutta e verdura come alimenti, e quello che ammette esclusivamente l’assunzione di liquidi. Entrambi hanno lo scopo di depurare il corpo.

Il digiuno terapeutico rientra decisamente nella seconda categoria e si prefissa due obiettivi principali:

  • Dimagrire. Molti lo adottano per perdere peso;
  • Disintossicarsi. Avrebbe in pratica la funzione di “riequilibrare” l’organismo, liberandolo dalle sostanze nocive, in quanto il corpo espelle tramite alcune funzioni, come il sudore o le funzioni corporali, elementi nocivi e, grazie al digiuno, queste non verrebbero reintegrate con l’ingerimento di cibi solidi o poco salutari.

È chiaro che si può decidere di adottare questo tipo di digiuno per beneficiare di uno di questi vantaggi o di entrambi, ma qualunque sia il suo obiettivo, una persona che vuole praticare il digiuno terapeutico, dovrà seguire determinati passaggi: stabilire un numero di giorni in cui praticare il digiuno (si preferisce che non siano troppi, per non privare l’organismo di nutrienti importanti per un periodo prolungato) e prepararsi allo stesso in un numero di giorni pari a quelli del digiuno.

Pratica del digiuno terapeutico

Nei giorni di preparazione, il soggetto dovrà dormire molto, cercare di allentare il ritmo lavorativo o di altre attività impegnative per evitare possibili fonti di stress e, circa una settimana prima del digiuno, limitare progressivamente l’assunzione di cibi solidi e incrementare il consumo di liquidi.

A questo punto potrà iniziare a praticare il digiuno terapeutico vero e proprio; la prima volta si consiglia di praticarlo solo per tre giorni per “imparare” a digiunare. Durante il digiuno che, di norma, prevede solo l’assunzione di liquidi, può essere utile assumere integratori per poter soddisfare il bisogno di vitamine e sali minerali.

Appare chiaro come una “terapia” di questo tipo sia difficilmente praticabile e anche come i vantaggi promessi siano solo illusori: il digiuno terapeutico può effettivamente aiutare nella depurazione, tramite il processo descritto, e può anche aiutare a dimagrire ma, come ci informa anche il sito My-personaltrainer.it., non permette di far assumere al corpo nemmeno le sostanze di cui ha bisogno; rischia, insomma, di creare più problemi di quanti ne possa risolvere.

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